Organizzato dalla rivista Imbottigliamento edita da Tecniche Nuove, con il patrocinio del Cerb di Perugia, si è tenuto a Milano, al Palazzo della Cultura Tecniche Nuove, il convegno "Il futuro della birra in Italia" che ha disegnato prospettive e opportunità per una filiera in continua evoluzione ed espansione.
Sono passate solo tre settimane dalla presentazione dell'Annual Report 2018 dell'associazione dei produttori Assobirra che ha confermato la positiva stagione che sta vivendo la bevanda a base di malto.
Giro d'affari della birra in Italia: 3,4 miliardi di euro.
Produzione: 16,415 milioni di ettolitri (+4,7% sul 2017)
Consumi: 20,319 milioni di ettolitri (+3,2% sul 2017)
Consumo procapite: 33,6 litri all'anno (+3,2% sul 2017)
Import: 6,948 milioni di ettolitri (+1,2% sul 2017)
Export: 3,045 milioni di ettolitri (+6,6% sul 2017).
Una serie di personaggi di settore ha provveduto a esaminare nel convegno Tecniche Nuove/Cerb una serie di possibili opportunità da poter cogliere nel prossimo futuro.
Dopo i saluti di rito dell'editore di Tecniche Nuove Ivo Nardella, accolto dal professor Giuseppe Perretti, direttore del Cerb di Perugia (Centro di Eccellenza per la ricerca sulla birra), il primo relatore è stato il professor Christian Garavaglia, docente di Economia Industriale all'Università degli Studi di Milano-Bicocca e all'Università Bocconi di Milano. Il tema affontato è stato l'evoluzione del mercato della birra artigianale in Italia, con particolare riferimento al periodo 1988-2018.
Nascita e sviluppo delle microbirrerie italiane
In effetti il 1988 rappresenta quasi uno spartiacque per l'evoluzione del mercato birrario italiano con l'apertura di una serie di birrerie artigianali sull'esempio delle craft beer nordamericane. Quasi una reazione a quanto era accaduto negli anni Ottanta che avevano visto una crescente concentrazione delle birrerie industriali alla ricerca di una sempre maggiore conquista degli spazi di mercato internazionali. Anche l'Italia era stata coinvolta a cavallo degli anni Ottanta e Novanta in questo vorticoso "giro" con il passaggio delle maggiori realtà nazionali a operatori esteri.
La varesina Birra Poretti passa nel 1982 nell'orbita della danese Carlsberg Italia;
Birra Ichnusa, storico marchio sardo, è rilevato nel 1986 dall'olandese Heineken;
l'udinese Birra Moretti viene comprata dalla olandese Heineken nel 1996;
Birra Peroni, storico marchio romano, è l'ultima ad arrendersi, venendo prima rilevata dalla sudafricana-nordamericana Sab-Miller nel 2003, per essere poi ceduta al gruppo belga-brasiliano AB-Inbev per passare infine nel 2016 alla giapponese Asahi Europe.
Il principale gruppo a rimanere italiano è l'altoatesina Forst che acquisisce nel 1991 Birra Menabrea (Biella), seguito dall'udinese Birra Castello con i marchi Pedavena e Dolomiti.
La principale conseguenza è una iniziale ridimensionamento dei marchi nazionali a favore di quelli più forti delle capogruppo internazionali, ma soprattutto una sensibile riduzione delle identità storico-culturali e delle connessioni con le rispettive realtà territoriali.
A inserirsi in questa latitanza di produttori italiani provvedono dapprima Peppino Esposito di Sorrento che inaugura la birreria St Josef’s nel 1980 (oggi St John’s) e i fratelli Oradini con la Orabrau a Torbole sul lago di Garda.
Nel 1996 vedono la luce quasi contemporaneamente altri sei piccoli birrifici: Birrificio Italiano di Lurago Marinone (Co), Birrificio Lambrate di Milano, Le Baladin a Piozzo (Cuneo) di Teo Musso, Beba di Villar Perosa (To) e Birrificio Turbacci a Mentana (Roma).
Queste iniziative vengono favorite da diverse ersperienze maturate all'estero (per motivi di studio o lavoro), ma soprattutto dalla evoluzione dei gusti dei consumatori in fatto di birra (e non solo, è l'epoca di Slow Food), sempre più informati ed esigenti.
A livello internazionale si registra uno spostamento dei volumi birrai dai tradizionali produttori (Usa, Germania, Gran Bretagna) a nuovi attori come Cina e Brasile.
La produzione in America di nuovi luppoli aromatici fa debuttare nuovi profili birrari come le APA-American Pale Ale che accentuano la ricerca dei piccoli produttori (ma anche delle multinazionali) di nuove specialità legate al territorio. In questo movimento si registra il raggiungimento di quota 4% nel 2017 per le microbirrerie italiane, ancora lontane però da quota 13% di quelle americane.
Per l'economista Christian Garavaglia sono queste le linee di tendenza di un prossimo futuro della birra in Italia:
ulteriore differenzazione delle specialità grazie a una maggiore creatività e flessibilità dei birrifici artigianali per trovare maggiori spazi di mercato rispetto alle birre standardizzate delle multinazionali;
maggiore attenzione verso le specialità low alcol (da 0% a 3%) per bevitori "sensibili" come guidatori, donne e giovani;
incremento delle specialità anche in confezioni più economiche, dalle maggiori potenzialità grafiche e più riciclabili come le lattine in alluminio.
Riduzione delle accise e definizione di microbirrifici indipendenti
Il presidente dei produttori Assoibiurra, Michele Cason, si è soffermato sulle conseguenze future della recente entrata in vigore del decreto MEF 04.06.19 con la riduzione del 40% sulle accise per i piccoli produttori, in applicazione della Direttiva CEE 92/83, in particolare:
introduzione del deposito fiscale semplificato per tutti i microbirrifici artigianali;
definizione del microbirrificio indipendente che deve avere come finalità solo la realizzazione della propria birra; non ricevere da altri birra condizionata; impianti produttivi fiscalmente distinti da quelli di altri birrifici; non operare sotto licenza altrui; le esportazioni possono essere attuate in sospensione di accisa.
E' stato calcolato che per un impianto da 1000 hl annui, la riduzione del 40% delle accise può arrivare a un recupero dei margini di quasi 17mila euro, da dedicare o a una riduzione dei prezzi o ad un amento degli investimenti.
Uno spazio-tavola rotonda è stato dedicato alle aziende di settore sponsor della manifestaziione: Lallemand, Enolife, Della Toffola, Aeb, Corimpex, Sika.
Alla ricerca di un luppolo italiano
Il presidente di "Luppolo Made in Italy-Rete di Imprese" Stefano Fancelli ha affrontato le problematiche legate alla produzione di varietà di luppoli italiani. Il mercato oggi è in mano a multinazionali americane e tedesche che stanno basando il loro successo sulla identificazione di nuovi luppoli aromatici. Essendo presente nella fascia temperata compresa tra il 25° e 35° parallelo Nord (altrettanto favorevole come quella tra il 35° e 55° parallelo Sud), l'Italia è un terreno favorevole alla coltivazione di una cannabacea come il luppolo. Ma la l'operazione non è facile: richiede molta acqua e una serie di cure fitosanitarie contro i parassiti. Inoltre non avendo l'ente certificatore competente ancora predisposto i libretti fitosanitari relativi, l'impiego di luppoli nazionali viene fatto ancora a rischio di produttori (e consumatori). Non mancano tuttavia diversi progetti per la identificazione di nuovi luppoli nazionali, come il progetto Alta Valle del Tevere che riguarda 9 varietà (che andrebbe a sostituire la declinante produzione di tabacco), ma è necessario ancora organizzare l'intera filiera produttiva anche in chiave Bio.
Una, dieci, centomila birre
Da buon anarchico, il degustatore pioniere internazionale Lorenzo Dabove "Kuaska" ha esordito affermando che la birra non esiste, ma esistono invece le birre, diverse a seconda di chi le produce e dell'ambiente in cui nascono. Quindi ha affrontato il tema del futuro della birra invitando i piccoli produttori di birra ad assumere una mentalità imprenditoriale per poter competere con i grandi gruppi industriali, approfittando della scarso profilo aromatico delle birre standard internazionali. Alfiere della Craft Beer Revolution che ci viene riconosciuta in tutto il mondo, Dabove con indubbia forza dialettica, ha esortato i piccoli produttori a valorizzare le biodiversità italiane, dai cereali antichi al farro, dalle castagne alla frutta, a cominciare dall'uva grazie ai cui lieviti è stato possibile dare vita a una tipologia tutta italiana come Iga (Italian Grape Ale) riconosciuta anche come categoria nei vari concorsi internazionali. Senza dimenticare le possibilità aromatiche offerte dalle botti in legno, nuove e usate. Allo stesso modo ha invitato a non cadere nelle esagerazioni fini a se stesse (alla "famolo strano").
Innovazione e sostenibilità
Tra i valori che sono sotto costante attenzione dei produttori più responsabili, ci sono innovazione e sostenibilità, due argomenti strettamente correlati tra loro che caratterizzeranno la produzione birraria (ma non solo) del prossimo futuro. Un tema che tutti i più grandi produttori (da Carlsberg a Birra Peroni, da AB-Inbev a Heineken) stanno da tempo affrontando e i cui positivi risultati ottenuti sono pubblicati annualmente in relativi report, con particolare riguardo alle crescenti riduzioni di energia, acqua e Co2 impiegati per la produzione e la distribuzione della birra.
Il tema "L'implementazione della sostenibilità ambientale nella produzione birraria" è stato così svolto da Antonella Reggiori, DraughtMaster Business Unit & Italy Operations Director Carlsberg che ha esordito citanto i dati pubblicati nel recente Bilancio di Sostenibilità 2018 di Carlsberg Italia:
- il 96% dei fusti distribuiti da Carlsberg in Italia non sono più in acciaio da 30 litri ma sono in Pet facilmente riciclabili, con un risparmio valutato nell'ordine di oltre 60 milioni di Kg di C02 grazie all'introduzione dell'originale sistema DraughtMaster by Carlsberg che non utilizza anidride carbonica per la spillatura;
- 10% di risparmio idrico grazie alla pastorizzazione flash;
- 28% di acqua risparmiata dal 2011;
- 30% di parco macchine ibrido grazie a un accordo con Toyota;
- 100% di carrelli elevatori elettrici;
- minori emissioni (- 9%) di C02 dal 2015;
- 100% di energia rinnovabile già dallo scorso anno.
Ricordiamo che il gruppo Carlsberg è controllato per il 70% circa dalla omonima Fondazione, creata da JC Jacobsen nel 1876 e non ha quindi per scopo principale la ricerca dell'utile economico.
Tra le altre iniziative intraprese da Carlsberg per migliorare la sostenibilità, ricordiamo la prossima introduzione della Green Fiber Bottle ricavata da fibre di legno bio; la particolare saldatura meccanica per i pack di lattine che fanno a meno degli anelli di plastica, ricorrendo a una speciale colla eco-friendly.
Primo fattore di crescita: la qualità
Nel suo intervento il professor Giuseppe Perretti, direttore del Cerb-Centro di ricerca per l'Eccellenza della Birra dell'Università di Perugia si è soffermato sull'esperienza che sta vivendo dirigendo questo istituto, punto di riferimento nazionale di produttori grandi e piccoli, al pari di istituti analoghi nel resto d'Europa. Incredibilmente, la diffusione della cultura birraria non si può considerare un dato acquisito anche tra i piccoli produttori. Tenendo conto che sicuramente la legislazione vigente non è certo semplice, all'analisi del laboratori Cerb arrivano campioni fuori norma (con pH sballati) dovuti evidentemente a semplici carenze di preparazione tecnica di mastri birrai probabilmente improvvisati. Nel 2019 ben 17 campioni su 103 sono risultati non conformi.
Al contrario, per aprire nuove strade al futuro della birra, è necessario puntare sempre più sulla qualità del prodotto che si ottiene selezionando e utilizzando le migliori materie prime a cominciare dal malto d'orzo, ma anche impiegando fantasia, intelligenza, conoscenza e preparazione tecnica di prim'ordine da parte dei mastri birrai. Solo così il controllo di qualità in birrificio e in laboratorio può diventare una semplice operazione di routine.
I recenti sequesti di partite di birra con dati organolettici non conformi alle etichette o conservati in strutture inidonee ottengono purtroppo facilmente spazio sui mass media, impressionando lettori e ascoltatori e rovinando l'immagine del lavoro della stragrande maggioranza degli operatori di settore.