L’acquisizione di quattro birrifici artigianali italiani da parte di quattro grandi aziende del settore tra il 2016 e il 2017 aveva scatenato valutazioni contrastanti. Da una parte era un riconoscimento della capacità dei mastri birrai che lavorano anche per piccole realtà e dell’interesse dei grandi gruppi ad allargare il proprio portafoglio specialità con birre crude non pastorizzate, offrendo a piccole realtà la possibilità di investire in impianti e ricerca senza affrontare problemi finanziari. Dall’altra era stata vista come un tentativo di grandi gruppi di contenere e inglobare al proprio interno il crescente fenomeno di successo delle birre artigianali italiane.
Così sembrava che fossero state baciate dalla fortuna Birra del Borgo (acquisita dalla multinazionale americana AB-InBev, leader del mercato mondiale), Birrificio del Ducato (acquisita dalla belga Duvel), Hibu Brewery (acquisita dalla multinazionale olandese Heineken), tutte e tre associate AssoBirra, oltre a Birradamare (acquisita dalla multinazionale nordamericana Molson-Coors).
Di recente, invece, due protagonisti del settore come AB-InBev e Heineken hanno deciso di ritirarsi, totalmente o parzialmente, rispettivamente dalla proprietà di Birra Del Borgo e di Hibu Brewery, nelle quali erano rimasti a vario titolo alcuni fondatori come il “romano” Leonardo Di Vincenzo e i “brianzoli” Raimondo Cetani e Tommaso Norsa. Contestualmente Birradamare, alla quale era stata affidata la distribuzione dei marchi Molson-Coors, viene ridimensionata, con il recente passaggio della distribuzione a Royal Unibrew Italia.
Non esistendo comunicati ufficiali in tema, non rimane che analizzare i singoli fatti così come vengono pubblicati sulla stampa nazionale. I dati di produzione delle aziende e le quote mercato citate sono ricavati dalll’Annuario Beverfood Italia 2021 (beverfood.com) elaborati dal Barth Haas Report Hops 2019/2020.
Birra del Borgo, Collerosso e i locali romani
Le strutture di Birra del Borgo, storico (2005) marchio di Borgorose (Rieti), al confine con la Riserva Naturale dei Monti della Duchessa, vengono parzialmente smantellate, a cominciare dalle attività commerciali romane (in vendita) come L’Osteria di via Silla e Il Bancone di piazza Bologna e lo storico (2009) impianto di Collerosso (Rieti). Previsto il discutibile e improvviso licenziamento di molti dipendenti (42 su 74), visto che l’impianto principale di Piana di Spedino (Rieti) rimane in attività ridotta con la produzione di prodotti di successo come ReAle, DucAle, Duchessa e Lisa, realizzati con ben l’80% di malti locali, mantenendo l’immagine di “specialità italiana” all’interno della grande multinazionale americana.
Il pericolo è che, soprattutto per motivi fiscali, AB-InBev sia tentata di delocalizzare all’estero, anche in mancanza di altri impianti produttivi del gruppo in Italia sui quali accentrare la produzione e ridurre così i costi. Lo storico impianto di Collerosso, dedicato alle fermentazioni non convenzionali, è stato invece “girato” a Matteo Corazza, storico mastro birraio di Birra del Borgo, completo di impianto e marchio che dovrebbe essere oggetto di restyling.
AB-InBev è il principale produttore di birra al mondo con oltre 467,4 milioni di ettolitri (quota mercato 25,7) e un poderoso portafoglio di oltre 500 prodotti internazionali a cominciare dalla nordamericana Budweiser, la messicana Corona Extra, le belghe Stella Artois e Leffe, la tedesca Beck’s. Di recente Ab-InBev ha modificato il logo aziendale eliminando l’inconfondibile e storica immagine dell’Aquila di Mare Testabianca americana (The Bald Eagle).
Hibu Brewery torna in mano ai fondatori
Diversa la strategia Heineken applicata al birrificio brianzolo Hibu (H come Home Brewer, Ibu come l’unità di misura dell’amaro) Brewery fondato nel 2007. Trasferito nel 2015 nel nuovo impianto di Burago di Molgora (Monza-Brianza), il birrificio Hibu Brewery si è fatto apprezzare per l’originalità delle ricette (5 Immancabili, 2 Stagionali, 4 Ricercate) e per le divertenti etichette disegnate con personaggi di fantasia. Hibu era entrato in orbita Heineken Italia nel 2017 attraverso il suo distributore nazionale Dibevit Import.
A fine dicembre 2021, Dibevit Import è stato però incorporato ("rimodulazione strategica") in Heineken Italia attraverso la società controllata Partesa, dopo una gloriosa attività ventennale di promozione di oltre 200 specialità birrarie di piccoli e medi produttori di tutto il mondo, un segno che porrebbe le specialità birrarie non più al centro del business della multinazionale olandese.
Il birrificio Hibu Brewery è stato offerto in “riacquisto” ai soci fondatori Raimondo Cetani e Tommaso Norsa (rimasti a curare la parte produttiva), completo degli impianti nel frattempo rinnovati e aggiornati dalla multinazionale olandese con importanti investimenti. Garantita la parte occupazionale, la partnership continua con un accordo con Partesa, società del gruppo Heineken. Con 221,6 milioni di ettolitri, Heineken è il secondo produttore di birra nel mondo (quota mercato 12,2%) che, oltre al marchio olandese Heineken, ha in portafoglio oltre 300 birre come le italiane Birra Moretti e Dreher, l’olandese Amstell, l’irlandese Murphy’s.
Birradamare distribuita da Royal Unibrew Italia
Con un recente accordo di vendita e distribuzione, le specialità della multinazionale nordamericana Molson-Coors Beverage Company passano alla filiale italiana della danese Royal Unibrew (marchio principale Ceres, 4 milioni di ettolitri prodotti, quota mercato 0,2%), rilevando anche l’organizzazione commerciale in Italia di Molson-Coors, rappresentata finora dalla microbirreria Birradamare. Oltre alle specialità Birradamare, Royal Unibrew Italia distribuirà i marchi americani Coors, Blue Moon, Miller Genuine Draft e la ceka Staropramen. Con una produzione di 84,5 milioni di ettolitri, Molson-Coors è il quinto player mondiale della birra (quota mercato 4,6%).
Sicuramente i produttori di birre artigianali (non filtrate e non pastorizzate in fusti e bottiglie, con scadenza di pochi mesi), hanno sofferto in periodo Covid molto più di quelli industriali (birre pastorizzate in fusti, lattine e bottiglie, a lunga scadenza) per la chiusura a singhiozzo, totale o parziale dei locali, essendo solo episodicamente presenti sugli scaffali della grande distribuzione e poco organizzati nel canale e-commerce.
La vendita, totale o parziale, di due medi produttori italiani di specialità artigianali, appartenenti a grandi società birrarie, non dovrebbe comunque incidere sul recupero economico e sull’incremento del gradimento di gusto (e conseguente successo di vendite, ormai decennale) delle specialità artigianali non pastorizzate. Come si deve allora vedere il calice delle birre artigianali: mezzo pieno o mezzo vuoto?
Per gli ultimi sviluppi sul tema, appuntamento a Beer & Food Attraction a RiminiFiera (27-30 marzo).