I grandi eventi che attirano migliaia di addetti ai lavori sono punti di osservazione privilegiata per capire come si sta muovendo l'industria del beverage e quali sono i trend in ascesa a livello globale.
Abbiamo messo a confronto le impressioni scaturite da tre nostre firme che nelle settimane passate hanno battuto in lungo e in largo corridoi, aule e stand di tre eventi del calibro di Bar Convent Berlino, Barometer Kiev e Roma Bar Show. Gli abbiamo chiesto di condensare in 5 minuti (di lettura) le cose più interessanti che hanno scoperto. A beneficio di tutti quelli che avrebbero voluto esserci ma non hanno potuto. E di chi è comunque curioso di sapere “cosa succede in città”.
Chi sei?
Giornalista di Bargiornale
Come ti è sembrato?
Bar Convent è un termometro piuttosto preciso dei trend di mercato a livello internazionale. Che ci dice diverse cose: il boom del gin, ne spuntano di nuovi ai quattro angoli del pianeta. Oramai gli spirit sono globali, nel senso che si tende a produrli ovunque. Cercando di fare del luogo di provenienza un punto di forza: non il gin italiano, ma il gin toscano; non il gin spagnolo, ma il gin galiziano, ecc. La nuova golden era del rum, con nuovi Paesi produttori e uno sforzo complessivo ad innalzare la qualità dell’offerta. Arrivano più rum premium e nuovi rum speziati.
Cosa ti è rimasto impresso?
Il coraggio con cui si sono affrontati apertamente i temi legati al lato oscuro della professione: alcolismo, difficoltà ad equilibrare vita personale e lavorativa, effetto burn out (uguale: spremuto fino all’osso e anche oltre). E l’attenzione che molti giovani bartender hanno mostrato e dimostrato per questi temi, affollando le conferenze che li trattavano. Riguardo alla presenza italiana, lo stand dell’Istituto del Vermouth e lo stand di un nutrito gruppo di produttori di grappa: allora è possibile pensare di andare insieme alla conquista dei mercati stranieri… Altrove lo fanno con convinzione, da noi resta ancora un’eccezione.
Le novità emerse?
La forte crescita della proposta di bevande analcoliche alla maniera degli spirit: da Bitter Note, il bitter italiano analcolico, a rum, gin, vodka e vermouth senza alcol prodotti da nuovi marchi come Fluère, Stryyk, Un-done. E poi lo Champagne-non Champagne e il Prosecco-non Prosecco fatto con il tè fermentato da Real Kombuha, alternativa analcolica già entrata nelle carte di diversi ristoranti stellati. E ancora, nuovi modi di proporre i cocktail: dal modello “Polaretto” realizzato dai berlinesi di Skadi ai cocktail alla spina (con ingredienti bio) dei danesi di Nohrlund. Infine, la sempre più stretta collaborazione tra bartender e case produttrici nella creazione di nuovi spirit: vedi Paragon, i cordial di Monin creati da Alex Kratena o Acqua Bianca, liquore aromatico messo a punto da Salvatore Calabrese per De Kuyper.
Dacci i numeri
Impressionanti: oltre 400 espositori da 48 Paesi, più di mille brand rappresentati, nuovo record di visitatori, per la prima volta sopra quota 15mila (la metà dei quali stranieri) nonostante la coraggiosa ma giusta scelta di chiudere, con i due primi giorni sold out per raggiungimento del limite della capienza (tanto che dalla prossima edizione si trasferirà nei più ampi spazi di Messe Berlin).
Buona l’ultima?
Direi proprio di sì, a parte qualche pecca nella segnaletica (oddio, in quale stand sarò?) ed effetto Cenerentola negli spazi più lontani dall’ingresso. Oltre a una discreta difficoltà a spostarsi causa affollamento nelle ore di punta. Il cambio di location aiuterà allo scopo.
Il “message in the bottle”?
Direi alzare lo sguardo, guardare all’intero quadro e non perdersi o incaponirsi nei particolari. È l’invito fatto ripetutamente ai bartender da parte di colleghi affermati diventati consulenti globali: il focus è sul cliente, non sui propri piedi mentre si shakera; il lavoro è ospitare, non fare cocktail. È l’invito fatto ai produttori da parte degli esperti a cui si rivolgono a decine per lanciare un nuovo prodotto (che non vende): se non avete un ottimo prodotto non provateci nemmeno. Ma avere un ottimo prodotto è solo il primo dei passaggi necessari a farne un prodotto che funziona.
Chi sei?
Ideatore di Saperebere.com, esperto di vermouth e di miscelazione futurista
Come ti è sembrato?
Mi ha ricordato il Bar Convent degli inizi, dove le aziende mainstream erano praticamente le uniche ad esporre, non dimentichiamoci che qui fino a qualche anno fa si bevevano prodotti locali, o qualche raro prodotto di importazione con semplici miscele con sodati. La scoperta di nuovi prodotti, che per noi sono assolutamente "scontati", e la possibilità di importazione dei primi vermouth o liquori ha permesso ai barman di approcciare una miscelazione avanzata prima sconosciuta.
Cosa ti è rimasto impresso?
L'entusiasmo della gente. Tanta gente. La bar industry è relativamente giovane, sia di età biologica che di lavoro. I ragazzi che lavorano al Barometer sono giovani ed hanno la sensazione di costruire qualcosa di buono per il loro Paese. Qui il il costo del personale è molto basso: così ho visto bar anche piccoli con almeno 8 dipendenti fra baristi e camerieri. Il bello è che, organizzandosi, uno o due si sono potuti staccare sui tre giorni per partecipare almeno a qualche educational.
Le novità emerse?
Una trovata interessante è quella di ospitare, nella corsia centrale della sala principale una ventina di bar "famosi" dal Paese, insieme a bar di Paesi limitrofi o amici come Cina, Georgia, Lituania e tanti altri fra cui Dubai. In questo modo si possono assaggiare stili di miscelazione di Paesi emergenti, e per le aziende presenti ci sono 20 clienti da contattare sul posto senza spostamento.
Dacci i numeri
L'organizzazione dichiara che nelle due precedenti edizioni sono state usate 42 tonnellate di ghiaccio e serviti oltre 100 mila cocktail, con 12 mila presenze principalmente dall’Ucraina ma anche da Lituania, Lettonia, Estonia, Georgia, nessun russo, ovviamente. Questo grazie a speaker d'eccezione e a uno sforzo di comunicazione notevole sui social. È una manifestazione dedicata anche agli appassionati. Anche i seminari hanno questo focus poichè gli organizzatori pensano che per far crescere il mondo beverage sia necessario anche istruire l'appassionato, che in altri bar show viene trascurato. Si svolge al centro congressi Parkovy su una superficie di circa 6.000 metri quadrati. Quest'anno esponevano circa 70 aziende. Una trentina presenti con il proprio stand, tutti molto belli ed animati, mentre il restante in stand misti con il proprio importatore.
Buona l’ultima?
Il mercato è giovane e ancora tutto da sviluppare, le persone sono altrettanto giovani e molto ricettive. Barometer non potrà che crescere.
Il “message in the bottle”?
Sicuramente l'entusiasmo della gente. Le masterclass di Diego Ferrari, Luca Cinalli e Philip Duff, hanno riempito la sala da 600 posti. Mentirei se dicessi che la sala da 200 posti al mio seminario era piena, ma parliamo di un racconto zeppo di date, con re e cuochi di corte, ritagli di giornale e vecchie pubblicità, invece che cocktail e throwing, e comunque ho visto gente scrivere per un'ora intera, con persone venute apposta da Lituania e Lettonia perchè interessati ad aprire vermutterie e bar all'italiana. C'è molta voglia di Italia, basti pensare che tre giorni prima, facendo una corsa conto il tempo è stata inaugurata una vermutteria a Kiev, il cui nome è evocativo Milano Torino.
Chi sei?
Giornalista freelance esperta in enogastronomia, firma di Bargiornale
Come ti è sembrato?
Un Vinitaly sopra i 35°, anche se in verità il mercato degli spirit manca di quell’elemento regionale che ha sempre contraddistinto l’evento vino. In generale, comunque, una bellissima atmosfera, che ha portato finalmente Roma e l’Italia sul palcoscenico internazionale del bartending. Per quanto riguarda gli espositori, molti i big, ma anche diversi piccoli produttori che hanno avuto una bella vetrina.
Cosa ti è rimasto impresso?
Le due zone dedicate rispettivamente agli spirit messicani, Tequila e mezcal, da un lato, e al gin dall’altro sono state le mie preferite. Nella prima, fra la musica dei mariachi e l’entusiasmo messicano, c’era un bellissimo caos. Nella seconda, invece, avevano ideato quasi una verticale dei gin italiani e non solo.
Le novità emerse?
Proprio a proposito di gin italiani, è emerso il trend che definirei dei gastro-gin: due al pomodoro (Moletto e Pomo), due al basilico (uno dei monotematici di 400 Conigli e O’ndina Gin), Taggiasco alle olive, Kaper ai capperi e così via. Quasi quasi si poteva fare un pasto completo liquido. Ho amato molto il Venti, l’amaro che riunisce l’Italia in venti botaniche, una per ciascuna regione. Sempre in tema di italianità, ho assaggiato il Sake Nero, fatto in Piemonte con riso nero integrale Penelope. E fra le novità presentate dai grandi brand, da segnalare il Jack Daniel’s Tennessee Rye Whiskey, la prima nuova ricetta del famoso Tennessee whiskey dopo 150 anni, con segale al 70%.
Dacci i numeri
Oltre ogni aspettativa: si è superata quota 9mila presenze; è venuta gente da tutta Italia e non solo. Ad accoglierli oltre 200 aziende, per un totale di duemila brand, e 58 ospiti internazionali.
Buona l’ultima?
Migliorerei solo piccoli aspetti di logistica. Le lunghe file all’ingresso e per acquistare i gettoni per mangiare erano sotto al sole, e meno male che non ha piovuto. Gli stessi food truck messi per sfamare il pubblico per ovvi motivi pratici erano all’esterno, ma senza alcuna copertura, mentre dentro non c’erano molte altre possibilità di approvvigionarsi. Ci sarebbero volute infine più mappe della struttura, che è piuttosto labirintica. In generale, però, possiamo dire sicuramente “buona la prima”.
Il “message in the bottle”?
La liquoristica italiana è viva e vuole mettersi in mostra: i grandi e piccoli produttori, le distillerie storiche e le nuove proposte, dagli amari al vermouth, passando per il gin e tutto quello che può passare da un alambicco.